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ultima modifica: 13/03/2013

VILLA GRITTI

 

Villabella di San Bonifacio

Si tratta della villa più nota di San Bonifacio, e proprio la sua gradevolezza ha finito col trasmettere il nome alla frazione. Si trova collocata su di una antica terrazzatura dell'Adige dominante la vasta pianura sottostante.

Villa Gritti

Probabilmente i primi proprietari furono dei componenti della famiglia Cavalli, ricchi possidenti veronesi che troviamo nel nostro territorio e in quello di Soave all'indomani della vendita delle proprietà della "fattoria scaligera" da parte di Venezia tra il 1406 e il 1417. Pietro Cavalli infatti nel 1408 concluse un ingente acquisto di terreni nella nostra zona. Nel 1480 la fabbrica venne ceduta a Bianca Malaspina, marchesa di Fosdinovo (MS) e moglie di Gabriele Malaspina, quest'ultima maritava in seconde nozze Virgilio Sforza di Attendolo, conte di Cotignola il quale nel 1522 diede la villa e tutti i possedimenti annessi in dote alla figlia Giulia sposa al nobile veneziano Alvise Gritti.

Fu la famiglia Gritti che provvide ad ingrandire la villa dandole le dimensioni attuali, trasformandone l'organizzazione col trasferimento delle barchesse dal lato Est a quello Ovest della casa padronale come si desume dal confronto tra due cabrei datati rispettivamente 1619 (I. Panatta) e 1687 (M. Alberti e S. Codroipo). I Gritti tennero per circa tre secoli la proprietà che tra il 1687 ed il 1795 doveva aggirarsi sui 1100 campi come è attestato dai disegni di Matteo Alberti e Stefano Codroipo e da quello di Gaetano Pellesina eseguito per Franco e Marcantonio Gritti; poi Francesco Gritti nel 1830 la cedette ai Camuzzoni che la rilevarono pressoché in stato di abbandono, situazione questa dovuta forse sia ai numerosi straripamenti dei fiumi ad essa vicini, sia a causa delle conseguenze patite per le battaglie napoleoniche combattute qualche decennio prima nei territori circostanti.

Fu in particolare Giulio Camuzzoni che si occupò di riportare la villa alla sua antica bellezza, anzi sotto la sua proprietà essa raggiunse il massimo dello splendore con le migliorie che egli vi apportò come: l'ingresso al giardino con la cancellata, disegnata dall'amico patriota Carlo Montanari, tra due pilastri decorati da vasi in pietra che fu chiamata "Albertina" in onore di una componente della famiglia; la costruzione delle serre in stile neomoresco, caratterizzate da slanciati contrafforti poligonali terminanti in pinnacoli che suddividono uno spazio in cui si aprono delle finestre di chiara foggia araba; l'edificazione della torre in cotto ornata da merli, suddivisa in una parte più bassa, denominata con titolazione familiare, "Antonietta" (1856) e in una più elevata detta "Eleonora" (1890); le modifiche al prospetto dell'edificio padronale in stile neoclassico più sotto descritto, così come le trasformazioni di altri edifici nelle facciate secondo lo stile neomedioevale. L'insieme viene così ad assumere l'aspetto tipico dell'eclettismo della seconda metà dell'ottocento, caratterizzato dalla compresenza di una pluralità di stili architettonici.

Il complesso si presenta assai differente nelle due facciate che lo caratterizzano: la facciata Nord è la più importante, quella di rappresentanza, arricchita dal bel giardino all'italiana, è caratterizzata dal corpo centrale in stile neoclassico con un frontone triangolare modanato sorretto da quattro semicolonne di ordine ionico poggianti su di un alto plinto. Una doppia gradinata conduce direttamente al piano nobile caratterizzato da finestre architravate di forma allungata sormontate da timpani aggettanti. L'edificio è affiancato da due fabbricati a due piani; quello a nord-est è in stile eclettico, e l'altro a nord-ovest è in stile moresco.

La facciata Sud è invece molto più semplice, essa costituisce la parte produttiva della villa; si apre su una grande aia, con pavimento in cotto, bordata in tufo, con numerosi corpi di fabbrica che la delimitano come le grandi barchesse dai volti ad arco ribassato e le case dei "laorenti" a testimonianza della grossa azienda agricola qui esistente, dedita in particolar modo, sia nel periodo dei Gritti che in quello dei Camuzzoni, alla risicultura. A questo proposito, in fondo al giardino che circonda l'aia, si trova un rustico del tardo Cinquecento con porticato a piano terra costituito da colonne doriche in tufo di epoca settecentesca, denominato "La Pila".

Dietro il porticato vi è il rustico con doppia destinazione di abitazione e magazzino. Parte dell'edificio ed il porticato, con pavimentazione in pietra, erano adibiti alla pilatura del riso, da cui il nome. Tutta la proprietà è interessata da un insieme di canalizzazioni ideate da Giulio Camuzzoni che servivano nella zona meridionale della proprietà a scopo irriguo, mentre a Nord erano sfruttate per creare giochi d'acqua al fine di abbellire il giardino arricchito anche da accorgimenti tecnologici, come il mulino posto a Nord Est nel parco (realizzato probabilmente solo per motivi estetici) o da realizzazioni artistiche vedi ad esempio la vasca con fontana ingentilita agli angoli da alti pilastri in pietra e posta nei pressi delle serre. Chiude l'angolo Nord-Ovest del giardino la chiesa dedicata a San Matteo che originariamente si trovava in posizione diametralmente opposta nella proprietà, ma qui collocata durante il riordino funzionale della villa apportato come già detto dai Gritti, ornata di un campanile a tre campane fu restaurata nel 1926 in seguito alla sepoltura di Rosabianca Cazzola, figlia di Stanislao, proprietario che succedette ai Camuzzoni. La facciata sobria presenta un frontone sorretto da due coppie di lesene con capitello ionico. Subito dopo la seconda guerra mondiale la villa passò dai Cazzola ai Matarazzo e dal 1973 alla famiglia Conforti. (G.C.)

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